- Di: Gabriele Braccioni
- Mag 27
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Qual è il valore probatorio degli screenshot nel processo penale?
Una recente pronuncia della Sez. V Penale della Suprema Corte di Cassazione ha ribadito alcuni importanti princìpi in materia di utilizzabilità e valore probatorio degli screenshot dei messaggi (sia SMS che di messaggistica istantanea).
In particolare, con la sentenza 6 maggio 2021, n. 17552 la S.C. ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale di legittimità già consolidatosi negli ultimi anni in tema di natura documentale ai sensi dell’art. 234 c.p.p. dei messaggi e delle chat whatsapp prodotte nel contesto di un processo penale, anche attraverso semplice screenshot.
Con la citata pronuncia si è riconosciuto valore probatorio agli screnshoot (nel caso specifico si trattava di fotografie di alcuni SMS) sulla base della considerazione che la captazione di messaggi e chat costituisce una forma di documentazione di una conversazione ex post e non in corso; pertanto non risulterebbe applicabile la disciplina delle intercettazioni o delle semplici registrazioni la quale, di contro, limiterebbe solamente a determinate ipotesi tassative l’utilizzabilità in giudizio.
Il tema dell’utilizzabilità degli screenshoot risulta particolarmente dirimente nei procedimenti per atti persecutori (stalking) ove il tipo di relazione (molto spesso affettiva) tra imputato e persona offesa è caratterizzata da una estrema informalità che induce i soggetti ad utilizzare in via principale i servizi di messaggistica istantanea per lo scambio di comunicazioni. Non è un caso, infatti, che anche la sentenza in esame riguardi un procedimento per stalking.
La Suprema Corte ha poi chiarito come non sia affatto sempre necessario procedere con la perizia tecnica sui dispositivi digitali utilizzati per lo scambio di messaggi, in particolar modo quando lo screenshoot contenga elementi sufficienti a provare l’identità dei soggetti coinvolti.
Proprio per tali motivi la Corte ha ribadito che “è legittima l’acquisizione come documento di messaggi sms (nel caso di specie, inviati dell’imputato sul telefono cellulare della madre della persona offesa e da questa fotografati e consegnati alla polizia giudiziaria) mediante la realizzazione di una fotografia dello schermo di un telefono cellulare sul quale gli stessi sono leggibili (Cass. pen., Sez. III, n. 8332 del 06/11/2019, dep. 02/03/2020, Rv. 278635), sempre considerando che si trattava di un’attività di mera documentazione, ancorché per immagini, dei medesimi”.
In conclusione si può affermare che, quantomeno allo stato attuale della produzione giurisprudenziale, la posizione della Suprema Corte sul punto sia quella di considerare legittima la produzione dello screenhot come prova documentale liberamente valutabile dal giudice.
Chiaramente questo principio andrà poi declinato nei singoli procedimenti in relazione alla peculiarità di ogni fatto e, soprattutto, messo in relazione all’ulteriore quadro dimostrativo presente in giudizio.
I principi espressi dalla citata sentenza non vanno pertanto letti come una generalizzato riconoscimento della valenza probatoria degli screenshot sempre e comunque, in quanto le prove digitali vanno valutate considerando la loro capacità di resistere alle contestazioni in giudizio secondo quanto disciplinato dagli artt. 20 e seguenti del CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale) D.Lgs 7 marzo 2005, n. 82 così come modificati , da ultimo, con il D.lgs. 26 agosto 2016, n. 179.
A ciò si aggiunga che il peculiare regime di utilizzabilità e di contestazione delle prove nel processo penale non può essere traslato sic et impliciter all’interno del processo civile che, di contro, è governato da regole molto più severe.
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